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Non tutti i bastardi sono di Vienna – Andrea Molesini – Recensione

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“Pensavo allo sfacelo della seconda armata, più che alla villa invasa, ripensavo a quel fiume ininterrotto di contadini e di fanti: i carri dei poveri, le auto dei generali, i feriti abbandonati nei fossi. Non avevo mai visto tanti occhi devastati dal terrore. Gli occhi delle donne con i fagotti al collo, fagotti inerti, e fagotti gementi; non riuscivo a credere che il dolore di tutto un popolo in fuga, a cui fino allora non mi ero reso conto di appartenere, potesse toccarmi così dentro, e diventare mio, il mio dolore”.

La voce narrante della vicenda descritta in quest’opera di Andrea Molesini è Paolo Spada, diciassettenne di nobili origini nativo di Refrontolo, un paesino situato vicino al Piave: il ragazzo, già segnato dalla perdita dei genitori in circostanze tragiche, assiste e descrive in tutta la loro cruda verità gli orrori del primo conflitto mondiale durante la fase più delicata (novembre 1917 – ottobre 1918), nella zona storicamente più critica.
Con un linguaggio preciso ed intriso di un realismo quasi fotografico, il narratore trasporta il lettore entro gli orrori di quel periodo, descrivendo gli eventi più tragici e dolorosi con la forza e la potenza di un autentico sceneggiatore: in certi momenti, come in occasione delle estemporanee impiccagioni di piazza, oppure dei frequenti episodi di violenza nei confronti delle donne, il lettore sente di condividere dignità e sofferenza con la popolazione di Refrontolo.
La potenza espressiva di Molesini occupa più di metà del romanzo, nel corso della quale violenza ed orrori di guerra non colpiscono direttamente i membri della famiglia Spada: costoro, prigionieri entro i confini della loro proprietà, al pari del lettore risultano semplici osservatori degli accadimenti esterni.
Lo stile narrativo muta nella seconda parte del racconto, dopo che le circostanze avverse, ed una repentina presa di coscienza circa il valore della dignità umana, inducono Paolo a gettarsi nella mischia, collaborando nell’attività di spionaggio contro l’Impero austro – ungarico. In questa fase, l’attenta e meticolosa descrizione degli accadimenti esterni lascia parzialmente il passo ad una prosa più tambureggiante e dinamica che, nelle pieghe del proprio stile espressivo, lumeggia nel concreto la possibilità di prevalere sul nemico grazie ad un comportamento attivo, intriso di dignità, altruismo ed eroismo.
Il tacito appello a valori quali il coraggio e l’onore, per la verità già presenti in alcuni dei protagonisti (fra tutti nonna Nancy e Renato) nella seconda parte raggiunge vette così alte da atteggiarsi ad unico ed autentico motore dell’istinto di sopravvivenza.
Non Dio, dunque, ma l’uomo.
Anzi, l’Uomo.
Dio e la religione, in effetti, paiono quali semplici strumenti di conforto quando davvero non c’è più nulla da fare: visti dalla prospettiva di chi è ancora vivo e cerca disperatamente di portare a casa la pelle, essi risultano del tutto inutili, a tratti irritanti. Prova ne è il sordo conflitto tra Don Lorenzo e nonno Guglielmo che, nell’ora della propria fucilazione, rifiuta con estrema dignità la somministrazione dei sacramenti e la riconciliazione con la Fede, al pari di Paolo e Renato: troppa violenza, troppa inciviltà, troppo dolore per pentirsi davanti a Chi ha consapevolmente voltato le spalle al genere umano, pur se per ragioni imperscrutabili, permettendo un orrore così impensabile come la guerra.
Sia consentita un’ultima riflessione, relativa al ruolo della donna, plasmato da Molesini in maniera sagace e profonda.
A differenza degli uomini, tra cui emerge qualche soggetto privo di rilievo e personalità (il Terzo Fidanzato di nonna Nancy, e per certi versi lo stesso Don Lorenzo), le protagoniste femminili presentano caratteristiche ben marcate, accuratamente descritte, essenziali per la dinamica della narrazione.
Si pensi a nonna Nancy, altera, intelligente e coraggiosa; a donna Maria, intensa e nobile d’animo; a Teresa, intrisa di saggezza popolare e, per questo, asciutta e pragmatica; a Giulia, procace, sensuale e un po’ folle. E a Loretta, dal carattere passivo e fragile: personaggio all’apparenza inutile e, per certi versi, stupido.
All’apparenza, appunto.
Semplice e superficiale apparenza. A dimostrazione del fatto che “non tutti i bastardi sono di Vienna”.

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un recensione di Marco LaTerra
laterra@raccontopostmoderno.com

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