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Disegnare il Vento – Ernesto Ferrero – Recensione

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Vi avverto: questa è una lucida recensione di parte.

Ho conosciuto Ferrero attraverso la lettura di “N.”
Il punto di vista inedito attraverso il quale veniva svelato l’animo dell’Imperatore dei Francesi in esilio all’Elba mi colpì nel profondo. Forse perché per una volta si parlava della nostra terra, delle emozioni di quel periodo e degli uomini la cui vita fu colpita coattamente (come sempre accade) dall’impeto della storia.
Italiani ai quali, grazie alla penna dell’autore, è stato concesso di parlare e raccontare ancora, rendendo noto ai posteri interessantissime sensibilità perdute.

Potete dunque immaginare con quali aspettative ho comprato e letto “Disegnare il Vento – l’ultimo viaggio del capitano Salgari”.
Speranze che non sono state affatto deluse.

Come in “N.” il narratore potrebbe sembrarVi onnipresente, anche se in verità non lo é. Ferrero infatti sceglie uno dei suoi personaggi attraverso il quale parlare e dubitare apertamente (Angelina in questo caso, Martino nel romanzo precedente) e lascia ad altri il ruolo di raccontare tutte le informazioni che sono state raccolte e studiate per la preparazione del testo. La narrazione viene dunque affidata a personaggi veri o verosimili, coevi al soggetto d’indagine, attraverso i quali si avrà la possibilità di conoscere tanto il più grande scrittore d’avventure di tutti i tempi, quanto le ansie e le tensioni dell’Italia a cavallo tra XIX e XX secolo.

“Disegnare il Vento” é un omaggio al grande Emilio Salgari, nel centesimo anniversario della sua morte samurai. Una dedica tutt’altro che scontata o magniloquente.
Il Salgari di Ferrero é messo a nudo nella sua fragilità e nella sua profonda umanità. Un uomo che confondeva la realtà con l’immaginazione, o che comprese quanto il sogno fosse ben più accogliente delle miserie che scorrevano tra il Po, l’Adige ed il Golfo di Genova. Sogni che trascinarono con se altre esistenze, prima fra tutte quella della moglie; sogni che solo verso gli ultimi anni dell’autore presero a far di conto, scontrandosi con la povertà.

Non voglio dilungarmi sulla storia di Salgari: potete trovare decine di informazioni a riguardo, soprattutto in altre (e ben più autorevoli) recensioni di questo libro. Quello che desidero raccontarVi è il modo squisito con il quale entrerete in contatto con la realtà narrata.
Uno degli aspetti più gratificanti del testo è a parer mio la sua costruzione originale. Non parliamo (seppur stiate leggendo queste righe su un portale postmoderno) di metanarrazione; piuttosto di una sapiente intreccio di punti di vista differenti non necessariamente disposti in senso cronologico.

Angelina, figlia di un industriale del liquore con il sogno della scrittura, attraverso la quale vi confiderete direttamente con “L’Emilio”, diventandone intimi e affezionati amici; Antonio Casulli, redattore del Giornale Satirico “Don Marzio”, con il quale vivrete la confusione dettata dalla distanza tra il mito del Cavalier Salgari e le sue reali condizioni di vita; Ida Salgari, le cui lettere e confessioni vi illumineranno il sentiero che porta alla follia; i figli del padre di Sandokan, che descrivono la loro condizione con il realismo e l’innocenza della propria età; e poi ancora il Signor Demo, il Signor Trabucco Augusto, i dottori Arminio Heer e Teresio Chiabotti o la signora Adelina Binello con il suo efficacissimo stream of consciousness da casa di ringhiera.

Questa nutrita assemblea di personaggi, quasi tutti realmente esistiti, intervengono ritmicamente, segnando con la loro presenza attimi significativi della vita di Salgari o aiutando l’autore a contestualizzare a tinte vive il periodo storico nel quale si svolgono le vicende. Non solo: l’ottima “sceneggiatura” rende la lettura sempre originale e gradevole. La moltitudine di punti focali strizza l’occhio alle necessità del lettore contemporaneo, poco abituato (per fortuna aggiungo io) ad un racconto unidirezionale e monotonico.

Vi è poi un altro aspetto che ritengo Vi possa interessare molto: il rapporto tra scrittura e vita quotidiana. Leggendo questo libro avrete il piacere di ascoltare l’opinione del Cavalier Salgari. Che pensasse realmente ciò che Ferrero gli ha fatto dire é verosimile, ma non potremo mai saperlo. Nondimeno la dicotomia vita scrittura è affrontata in modo serio e mai banale a tal punto che, per convincerVi, voglio citare uno stralcio del testo:

Si scrive per vivere molte vite. La tua non ti basta, già decisa com’è dal principio alla fine. Si scrive perché ti senti stretto. Perché vuoi essere un altro. Perché vuoi essere considerato e stimato. Perché hai bisogno di qualcuno che ti dica bravo. Perché sei povero. Perché ti vergogni della casa dove stai. Perché non vuoi fare il mestiere che fa tuo padre. Perché non hai i soldi per viaggiare. Per pagarti le donne che vuoi, quelle che vorresti portare al ristorante o all’opera. Perché vuoi fargliela vedere a qualcuno, ai prepotenti, agli invidiosi.

Penso non ci sia bisogno di aggiungere altro, o forse una cosa sola.

L’augurio che vinca uno scrittore vero, che studia prima di toccare la testiera, che si informa, che scrive del suo paese, della sua storia, dei suoi gerghi, dei suoi autori; uno scrittore che non abbia l’ansia da pellicola, che non riduca la scrittura alla commercializzazione di sentimenti adolescenziali, di ricche coppie in crisi e di altri stati d’animo da macchinetta del caffè delle scuole superiori.
Insomma, l’augurio che vinca un vero autore italiano.

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una recensione di Giorgio Michelangelo Fabbrucci
fabbrucci@raccontopostmoderno.com
 

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