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Carmine Abate – La Collina del Vento

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Recensione per lo Speciale Campiello 2012 a cura di Giorgio Michelangelo Fabbrucci

“La Collina del Vento” di Carmine Abate è un romanzo che mi ha conquistato dalle prime righe e che consiglio di cuore a tutti voi.

Si tratta di un romanzo classico, nella più bella delle accezioni. Una storia di amore e di morte, di gioia e di orrori, di ideali e sacrifici, che ripercorre le vicende di una famiglia per un intero secolo. Un viaggio che per molti versi riconoscerete come Vostro, perché custodisce e divulga tanta parte delle vicende patrie che hanno sconvolto e segnato le famiglie italiane negli ultimi cento anni.

I protagonisti di questa traversata sono gli Arcuri con la loro piccola terra, la collina del Rossarco. Un promontorio con il quale condividono il carattere aspro, orgoglioso e affascinante. Un colle che, come la famiglia che lo abita e lo ama, custodisce segreti antichi e vibranti vicende mortali.

Carmine Abate intreccia così due destini (quello della collina e quello della Famiglia) in un’unica esperienza di vita, in un’epica “lotta a staffetta” per la difesa della propria libertà. Una battaglia contro i soprusi che in ogni tempo si manifestano sotto varie spoglie, figlie della medesima matrice: il falso progresso, il potere, l’invidia.

Una storia lunga di sacrifici, che nonostante l’evoluzione economica e sociale, si ripresenta identica a se stessa, seppur sgravata dagli aspetti più cruenti e irrazionali.

La Grande Guerra è alle porte e Alberto Arcuri è padre di tre figli, dei quali solo uno sopravviverà: il coraggioso Arturo. Se il padre aveva combattuto contro la natura, al fine di porre le basi per una coltivazione abbondante, e altresì contro la povertà, per acquistare zolla dopo zolla la terra del Rossarco dagli abitanti in partenza per l’America, Arturo dovrà combattere prima contro il latifondista del paese (Don Lico), intenzionato ad impossessarsi della collina, e poi (per il medesimo movente) con il regime fascista, che lo costringerà all’esilio sull’isola di Ventotene. Il figlio di Arturo, Michelangelo, percorrerà una strada differente. Grazie al talento negli studi riuscirà a frequentare le scuole magistrali e, tornato dalla guerra, a diventare maestro. La lotta però continua: dapprima contro la costruzione di un fantomatico villaggio; poi contro l’eco-speculazione delle pale eoliche. L’eredità di questa storia verrà lasciata all’ultimo degli Arcuri, Cesare Arturo (detto Rino), il quale si farà narratore di molte delle vicende.

Moltissime sono le trame che ho tralasciato: le vicende di amore e di solidarietà umana; l’incontro con due grandi archeologi dell’epoca; la protezione di un aviatore militare inglese; le struggenti vicende delle donne della famiglia, nonché l’ossessionante ricerca della città di Krimisia, di cui il Rossarco potrebbe essere il velo di terra ed arbusti.

Nondimeno è la lotta fiera e coraggiosa di una famiglia, la cifra impressa dall’autore alla sua storia.

Ecco alcuni dei motivi per i quali ho davvero apprezzato “La Collina del Vento”.

In primo luogo la scorrevolezza della narrazione, in cui il fuoco si sposta di continuo, dal narratore ai vari protagonisti delle vicende (soprattutto Arturo e Michelangelo), senza con questo confondere il lettore o sviarlo.

Inoltre l’italiano di Abate viene arricchito da forme gergali e dialettali. E’ uno dei pochi casi (in un romanzo) in cui ho avuto il piacere di vedere il dialetto impreziosire la lingua italiana, donandole maggior forza espressiva, maggior credibilità, senza per questo risultare incomprensibile. Davvero un encomiabile lavoro linguistico.

Infine ho amato la passione e i valori di cui l’autore ha intriso il suo testo, che sono in profonda antitesi con ciò che offre la nostra garrula postmodernità.

In “La Collina del Vento” il senso della vita esiste e grida, attraverso le gole ed il sudore di un’intera stirpe. Ogni protagonista è anello insostituibile di una catena più grande. Una catena che, se all’occhio superficiale può apparire misera, è in verità gloriosa. Infatti affonda il suo senso nell’amore per il futuro, rappresentato dai figli, ma soprattutto nell’amore per la terra di cui i protagonisti si proclamano gelosi custodi. Ecco che la catena diventa Tradizione, amore per la Natura e per la Storia, che trova la sua origine nell’alba della nostra civiltà, nei testi omerici e nei miti dell’antica Grecia.

Pier Paolo Pasolini, in un’intervista rilasciata poco prima dell’uscita del film “Le 120 giornate di Sodoma” raccontò della differenza che, a parer suo, intercorreva tra i modelli di comportamento di un italiano del passato (ad esempio un contadino tradizionalista e religioso) e quelli di un italiano del suo tempo, già sottomesso a quella che definiva “ideologia dell’edonismo consumistico“:

“Un giovane romano oggi non esiste più. E’ un cadavere. Il cadavere di se stesso che vive ancora biologicamente ma è in uno stato di imponderabilità tra gli antichi valori della sua cultura, popolare romana, e i valori piccolo borghesi consumistici che gli sono stati imposti”.

Io penso che “La Collina del Vento” di Carmine Abate rappresenti un tentativo appassionato e sincero di salvare ed esaltare i valori della cultura e della vita popolare, mostrando come, nonostante il sudore e i sacrifici, le sconfitte e le umiliazioni, le ingenuità e le superstizioni, abbiano dato senso non solo all’esistenza individuale ma a quella di intere generazioni.

Auguro all’autore una meritata vittoria.

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fabbrucci@raccontopostmoderno.com
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